L’articolo affronta il delicato tema della ”perdita” e i processi di adattamento psicologico e culturale delle persone che si trasferiscono in un altro Paese. Emigrare è una sfida difficile che mette alla prova le capacità individuali del migrante, al quale è chiesta una riorganizzazione importante del proprio bagaglio psichico, sociale e culturale.
Premessa terminologica
Di seguito si daranno alcune definizioni di termini che ricorrono all’interno dell’articolo.
Innanzitutto specifichiamo che quando parliamo di migrazioni intendiamo sia i trasferimenti sul territorio internazionale che non.
Migrante: si utilizza il participio presente per intendere quelle persone che stanno migrando, che stanno lasciando il luogo in cui sono nate o in cui risiedevano e che stanno cercando un nuovo luogo in cui vivere in maniera tendenzialmente stabile;
Immigrato: si utilizza il participio passato sostantivato, per intendere quelle persone che hanno compiuto la migrazione in passato e che risiedono in modo tendenzialmente stabile in un luogo diverso da quello in cui sono nate o da quello in cui risiedevano in precedenza.
Si aggiunge, infine, che ai fini dell’articolo in oggetto, si tralasceranno (ovviamente non per importanza) i casi di migranti costretti ad abbandonare il proprio paese per questioni vitali (ad esempio le persone in fuga dalle guerre e dal sottosviluppo). Oggetto della presente trattazione sono, invece, i casi di persone che decidono spontaneamente di trasferirsi, in modo più o meno definitivo, in un altro paese al fine di migliorare il loro benessere, progredire nello studio e nel lavoro.
1) IL FENOMENO MIGRATORIO: ALCUNI DATI STATISTICI
Il Centro Studi Immigrazione di Verona (CESTIM) stima che a livello mondiale il numero dei migranti nel 2015 ha sfiorato i 243,6 milioni di unità, corrispondente al 3,3 % della popolazione mondiale. Il 76,1 % di questi è distribuito in Europa.
I flussi di migranti nel nostro Paese hanno sfiorato il milione di unità.
Seppure rallentati nell’attuale fase di recessione, secondo le previsioni dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) l’ondata di migranti acquisterà nuovo dinamismo con la ripresa economica. I dati CESTIM attestano che i paesi europei principe dell’ accoglienza sono la Germania, Francia, Svezia, Regno Unito e Italia. Considerando queste statistiche, l’UE si conferma quindi come una forte area d’immigrazione, con il dato espressivo della Germania che nel 2015 vantava un numero di 316.115 milioni dei rifugiati al suo interno.
Nell’Unione Europea, a fine 2009, erano 32,5 milioni i residenti con cittadinanza straniera (incidenza del 6,5% sulla popolazione) e 14,8 milioni quelli nati all’estero ma diventati cittadini del paese in cui vivono, per cui quasi un decimo della popolazione non ha un’origine autoctona. I casi di acquisizione di cittadinanza nell’Unione Europea sono stati 776mila nel 2009, più di due mila al giorno.
Nell’anno dell’Unità d’Italia, nel nostro Paese, su 22.182.000 residenti, gli stranieri erano ottantanovemila, appena uno ogni 250 e rivestivano posizioni socio-occupazionali ragguardevoli. A differenza della Francia, interessata a combattere il calo demografico con una scelta politica d’insediamento e di naturalizzazione, e della Germania, bisognosa di sostenere il suo sviluppo con l’arrivo di polacchi e d’italiani, per l’Italia cominciava il periodo della forte ondata di emigrazione, durata più di un secolo con ben trenta milioni di espatri.
Al primo censimento del Dopoguerra (1951) gli stranieri erano centotrentamila su 47.516.000 residenti, e superarono l’incidenza dell’1% solo nel 1991 (625 mila su 56.778.000 residenti). Da allora, in Italia è iniziata la fase della grande immigrazione, che ha superato un milione di unità solo nel 2001 (1.334.889).
A inizio 2016, su 5.026.153 residenti stranieri nel nostro Paese, il 52,6 % erano donne e complessivamente incidevano sulla popolazione per l’8.3% (52 volte di più rispetto al 1861) ed esercitano un ruolo importante nel sopperire alle mancanze strutturali a livello demografico e occupazionale. Nell’ultimo anno l’aumento, nonostante la crisi, è stato di 11.706 unità, al netto dei casi di cancellazioni dall’anagrafe, trasferimento all’estero e irreperibilità) e dei 178.035 casi di acquisizione di cittadinanza.
Interessante è anche il seguente dato sull’immigrazione nazionale: tre quarti degli immigrati risiedenti in Italia vive nelle seguenti cinque regioni: Emilia Romagna, Lombardia, Lazio, Veneto e Piemonte.
In Italia l’immigrazione costituisce una soluzione, seppure parziale, al continuo processo d’invecchiamento demografico e al basso tasso di fecondità e una risorsa per l’economia sebbene negli ultimi anni i lavoratori immigrati stiano soccombendo agli effetti della crisi incidendo per un quinto sui disoccupati del paese.
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